Scrivere il testo di una canzone può somigliare a un cruciverba. Basta trovare le parole che si incastrano in metrica e il gioco è fatto. Peccato che pperò arrivi la musica, che il gioco te lo cambia, le strofe le allunga e le accorcia a piacimento, le orizzontali te le fa diventare verticali e viceversa, e allora i quadretti neri toccherà a te metterli dove ti viene meglio. L’unico trucco, a quel punto, è andare a correggere le definizioni. Ecco com’è che, passando per le penne e per le voci dei ragazzi riuniti nelle sale di House of Rock a buttare giù il testo del primo pezzo sotto la supervisione di Luca Ragagnin, le “signora” diventa improvvisamente una “bambina”, le “onde” si trasformano in “ombre” e ad ogni passo lo scenario che sembrava essersi schiarito torna ad essere misterioso, da esplorare. E’ la musica che ispira le parole o sono le parole a dare il ritmo e la melodia a una canzone? E quanto contano le voci, le esperienze, gli ascolti di ciascuno per dare una forma definitiva al tutto?
Come con le parole crociate, essere in tanti può rappresentare un vantaggio ma anche una complicazione o una perdita di tempo. Di certo la possibilità – un po’ romantica e chissà quanto veritiera – del cantautore che scrive solo soletto in camera propria qui non è data. La scrittura di gruppo non può essere espressione diretta della sensibilità di qualcuno, deve filtrare diversi passaggi: occorre buttare le proprie idee personali sul tavolo, lasciarle toccare dagli altri, vederle rifiutate modificate o, peggio, migliorate addirittura. Non è un processo facile per il creativo ma è un passaggio necessario per un gruppo che lavora insieme.
“Le teorie sullo scrivere – dice Ragagnin, che in prima persona ha levato le parole di bocca ai Roll’chestrali – in questi casi hanno valore soltanto in relazione alla musica. Per questo ho cercato di spingere i ragazzi a commutare delle immagini dall’ascolto, partendo dagli spezzoni musicali che avevano già realizzato insieme in sala prove. Visto che la metà di loro già faceva testi per conto proprio o insieme ai rispettivi gruppi è stato più facile, anche se in un approccio di gruppo come questo l’esperienza non è sempre necessaria: molti hanno fornito le proprie idee spontaneamente, anche senza partire da un punto stabilito o da una prassi già sperimentata. E’ un lavoro di team, la vena poetica personale conta più relativamente. Su certi punti poi ci siamo ritrovati tutti d’accordo, come ad esempio l’uso dell’italiano. Sapevo che avrei lavorato in lingua ma non ho nemmeno avuto bisogno di concondarlo prima con loro: anche quelli che sono abituati a scrivere in inglese aveva tra i suoi ascolti qualche cantautore non giovanissimo, il che, lo ammetto, un po’ mi ha rincuorato.”